Prefazione
alberto siracusano
Cattedra di Psichiatria, Dipartimento di Medicina dei Sistemi,
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”



I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DAN) rappresentano sindromi cliniche complesse con un costo elevato in termini di disabilità, rischio di morte, salute fisica e mentale e possono insorgere in tutte le età della vita, dall’infanzia all’età adulta.1 Il disagio verso il peso, l’immagine corporea e il comportamento alimentare sono aspetti dimensionali transnosografici che giocano un ruolo chiave sia nello sviluppo che nel mantenimento di questi disturbi con differenze che riguardano principalmente il genere; ad esempio, negli uomini l’insoddisfazione per l’immagine corporea riguarda prevalentemente la massa muscolare,2 mentre le donne risultano più insoddisfatte del peso corporeo3 e le manifestazioni cliniche di queste dimensioni che sono fortemente influenzate dall’assetto cognitivo, emotivo, dalle attitudini e dai valori personali e dal contesto familiare e sociale in cui l’individuo è cresciuto e vive.4 Sia nel DSM-5 che nell’ICD-11 sono inclusi sei disturbi principali: la bulimia nervosa, l’anoressia e il disturbo da alimentazione incontrollata e i tre disturbi che nelle classificazioni precedenti erano esclusivi dell’età evolutiva: la pica, il disturbo evitante-restrittivo dell’assunzione di cibo e il disturbo da ruminazione. Nel DSM-5 sono state anche inserite le caratteristiche dei diversi sottotipi clinici, gli indici di severità e di remissione dei disturbi.
Nella categoria dei “disturbi con altra specificazione” rientrano le sindromi che non soddisfano pienamente i criteri dei DAN.
L’approccio categoriale, focalizzato sugli aspetti “comportamentali” dei disturbi, adottato dal DSM, è stato ampiamente criticato in quanto trascurerebbe il peso delle diverse comorbidità mediche e psichiatriche spesso presenti, come ansia e depressione, non metterebbe in luce le differenze che emergono tra uno stesso DAN nelle fasi della vita, ad esempio, in adolescenza e in età adulta, riducendone la appropriatezza e la stabilità diagnostica nel tempo.5 Per superare tali limiti sono stati proposti modelli psicopatologici di tipo dimensionale: il Research Domain Criteria project (RDoC),6 in cui le categorie diagnostiche del DSM-5 sono rimpiazzate con costrutti basati sulle neuroscienze e sulle scienze comportamentali e lo Hierachical Taxonomy of Psychopathology (HiToP), che si basa su un approccio gerarchico dimensionale dei sintomi.7 Tuttavia, questi approcci non hanno determinato i risultati clinici e terapeutici attesi. Recentemente, le prospettive più interessanti riguardano lo “staging model”,8 un paradigma basato sulla stadiazione della malattia che si svilupperebbe lungo fasi cliniche di gravità crescente e che è coerente con la network theory, in cui si evidenziano l’importanza e le connessioni tra i diversi sintomi.
Nel DSM, l’obesità non è inquadrata nosograficamente come un disturbo psichiatrico, alimentare e della nutrizione, tuttavia, comporta un rischio elevatissimo di disabilità e mortalità prematura sia nella popolazione generale che in chi è affetto da disagio psichiatrico.9
In questo numero di Nooς, abbiamo voluto affrontare le diverse criticità diagnostiche e psicopatologiche dei DAN e dell’obesità, in particolare ponendo attenzione agli aspetti neuropsicologici caratteristici dei diversi disturbi, all’impatto del COVID sull’epidemiologia e sulle manifestazioni cliniche dei DAN, al ruolo dei social network e alle complessità definitorie delle psicopatologie emergenti: la food addiction, l’ortoressia, la vigoressia e la drunkoressia. Inoltre, è stato affrontato il tema delle problematiche psichiatrico-forensi alla luce della tendenza agli esordi sempre più precoci dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione che colpiscono le fasce di età sotto i 18 anni, in cui esistono limiti giuridici in termini di capacità decisionale e consenso alle cure che condizionano la gestione clinica e i risultati terapeutici.


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