Food addiction: umbrella review

della letteratura più recente

marco fontanari1, anna laura amato2, maria dri2,3,

francesco nicoletti3, alessandra moia2, antonino de lorenzo2

1. Scuola di Specializzazione in Scienza dell’Alimentazione,

Università degli Studi di Roma Tor Vergata

2. Sezione di Nutrizione Clinica e Nutrigenomica,

Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione, Università degli studi di Roma Tor Vergata

3. Scuola di Dottorato in Scienze Medico-Chirurgiche Applicate,

Università degli studi di Roma Tor Vergata


Gli autori hanno contribuito equamente.


RIASSUNTO

Per food addiction (FA) si intende quella condizione clinica caratterizzata dall’impulso irrefrenabile, derivato dalla stimolazione del sistema cerebrale della ricompensa, di assumere un determinato alimento. Sebbene il concetto risalga a metà del secolo scorso, il dibattito sulla sua effettiva esistenza è più vivo che mai: la letteratura è divisa tra chi vede la FA come disturbo da uso di sostanze (Substance use disorder, SUD), chi la ritiene una dipendenza comportamentale e chi invece rifiuta la sua esistenza nel panorama nosologico.

Lo scopo della presente revisione è quello di fornire un quadro scientificamente valido delle nozioni più recenti riguardanti questo costrutto.

Dopo una ricerca mirata dell’argomento su Pubmed, dai 40 articoli ottenuti si sono selezionati i 22 studi, tra revisioni letterarie, sistematiche e metanalisi, che trattano l’argomento basandosi soprattutto sui modelli umani.

Le evidenze emerse da questo procedimento di ricerca sono state successivamente organizzate in paragrafi, ognuno corrispondente ai vari aspetti sull’argomento. Si è così analizzata la definizione di FA, le scoperte e le controversie sui meccanismi neurobiologici alla sua base, le metodiche diagnostiche e terapeutiche, la sua connessione con determinati tipi di cibo e con l’obesità, ed infine l’aspetto psicosociale del problema.

Da una parte, l’esistenza di pattern di attivazione del circuito della ricompensa, derivati dall’ingestione di cibi ricchi in zuccheri o grassi, e la possibilità di diagnosi della condizione tramite la Yale Food Addiction Scale (YFAS), suggeriscono il possibile beneficio nei pazienti con FA di terapie normalmente adoperate trattando i disturbi di abuso di sostanze.

Dall’altra, la mancanza di dati specifici, chiari e riproducibili sulle modificazioni neuronali, le criticità riguardo la YFAS, i dubbi sulla corretta metodologia utilizzata nella ricerca sull’argomento e l’incertezza sulla valenza terapeutica della definizione della FA, suggeriscono una certa cautela sulla questione.

Saranno quindi necessari ulteriori studi per approfondire i vari aspetti del problema e attenuarne le controversie.

Parole chiave: food addiction, obesità, Yale Food Addiction Scale, alimentazione.


SUMMARY

Food addiction: umbrella review of the most recent literature

Food addiction (FA) is a clinical condition characterized by the uncontrollable urge to consume a particular food, resulting from stimulation of the brain’s reward system. Although the concept dates back to the middle of the last century, the debate about its existence is as lively as ever: the literature is divided between those who see FA as a substance use disorder (SUD), those who consider it a behavioral addiction, and those who reject its existence in the nosological landscape.

This review aims to provide a scientifically valid overview of the most recent understanding of this construct.

After a targeted search of the subject on Pubmed, from the 40 articles obtained, 22 studies on mainly human models were selected among literary reviews, systematic reviews, and meta-analyses.

The evidence that emerged from this search procedure was then organized into paragraphs, each corresponding to various aspects of the issue. Thus, the definition of FA, the discoveries and controversies surrounding the neurobiological mechanisms underlying it, the diagnostic and therapeutic methods, its connection with certain types of food and with obesity, and finally the psychosocial aspect of the problem were analyzed.

On the one hand, the existence of patterns of activation of the reward system derived from the ingestion of foods rich in sugar or fat, and the possibility of diagnosing the condition through the Yale Food Addiction Scale (YFAS), suggest the possible benefit in FA patients of therapies normally used to treat SUD.

On the other hand, the lack of specific, clear, and reproducible data on neuronal changes, the criticality of the YFAS, the doubts about the correct methodology used in research on the subject, and the uncertainty about the therapeutic value of the definition of FA, suggest a certain caution on the issue.

Further studies will therefore be needed to investigate the various aspects of the problem.

Key words: food addiction, obesity, Yale Food Addiction Scale, nutrition.


introduzione

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), a partire dal 1975, il tasso di obesità è quasi triplicato,1 nonostante ogni anno vengano investite importanti risorse allo scopo di prevenire e curare questa patologia. I risultati poco soddisfacenti sono anche dovuti alla tendenza delle persone sottoposte ai vari trattamenti di riacquistare nei cinque anni successivi il peso perso.2 Parte del problema risiede probabilmente nel fatto che l’eziopatogenesi dell’obesità è multifattoriale: fattori ambientali, genetici e socioculturali collaborano in un’associazione a delinquere ai danni del nostro organismo, che finisce per essere stravolto dal punto di vista biochimico e morfologico. Differentemente da quanto comunemente creduto, quindi, l’obesità deriva in una certa misura dal cosiddetto ambiente “obesogeno”, caratterizzato da una disponibilità aumentata di cibo3 e dalla diminuzione della spesa energetica totale,4 ma non solo. Difatti, le variabili da considerare sono notevolmente aumentate nel corso degli anni, e la food addiction o dipendenza da cibo ne è la prova.

Per dipendenza alimentare (food addiction, FA) intendiamo quel fenomeno per il quale, a seguito dell’attivazione di determinati pathways cerebrali da parte di alcuni cibi e bevande, viene ad instaurarsi un meccanismo di dipendenza nell’individuo con conseguente eccessivo intake dell’alimento incriminato.4,5 Sebbene il concetto di dipendenza alimentare risalga al 1956,6 il dibattito su questo tema e sulla sua eziopatogenesi è ancora vivo per via di posizioni contraddittorie nate alla luce di recenti sviluppi.

Dal punto di vista biologico, è stata avanzata l’ipotesi che alcuni individui possano essere geneticamente o fisiologicamente predisposti a sviluppare dipendenza verso alcuni cibi.7,8 In tal senso, quindi, particolari alimenti o ingredienti potrebbero indurre dipendenza sia in individui con anamnesi familiare muta per questa tipologia di disordini,9 ma in particolare in individui suscettibili dal punto di vista genetico.5,10

Inoltre, altre ricerche11,12 hanno proposto che la cosiddetta FA possa essere una condizione neurologica di dipendenza da sostanze o correlata ad un disturbo del comportamento, come diagnosticato nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.13,14 In quest’ultimo caso, la FA potrebbe essere la conseguenza di un processo mal adattativo nella scelta e nel successivo consumo di alcune categorie di alimenti.13

Una classificazione precisa della FA è di conseguenza difficile, dato che può essere inquadrata come un disturbo a sé stante, come una condizione di comorbilità o come una conseguenza dell’obesità.14 Ulteriori studi sono quindi necessari per dare una connotazione più chiara sull’eziopatogenesi e la rilevanza clinica di questa condizione.

La presente revisione si prefigge di attingere alla letteratura più recente al fine di fornire un quadro completo e scientificamente valido sulla dipendenza dal cibo.


materiali e metodi

La ricerca delle fonti è stata eseguita ad aprile 2021, partendo dal motore di ricerca scientifica PubMed ed utilizzando come parola chiave “food addiction”. Sono stati presi in considerazione solo i lavori pubblicati negli ultimi cinque anni e solo quelli ai quali si poteva accedere gratuitamente.

Si è scelto di definire solo due dei criteri PICOS (Partecipants, Interventions, Comparisons, Outcome e Study design) ai fini della ricerca: Partecipants (Partecipanti) e Study design (Disegno dello studio). Sono stati inclusi gli articoli che si soffermavano primariamente sulla dipendenza da cibo nell’uomo, indipendentemente da età, sesso, etnia o dalla loro situazione clinica (P). Le tipologie di studio considerate sono state metanalisi, revisioni e revisioni sistematiche (S).

Il pannello di articoli così ottenuto è stato quindi analizzato dagli autori in primis tramite il titolo, poi in base alla sintesi ed infine in base al testo completo, così da identificare gli studi elegibili per la presente revisione.

La tabella I mostra gli studi che sono stati ritenuti idonei e tiene conto di titolo, autori, anno di pubblicazione, tipo di studio, intento primario e numero di citazione.










Al fine di rendere l’organizzazione del testo di più facile approccio, si è scelto di identificare delle macroaree di interesse ed associarle ai singoli articoli. Queste associazioni sono visibili nell’ultima colonna della tabella I.

La maggior parte degli studi non presentava un’organizzazione predefinita nella metodologia di ricerca e di analisi, e di conseguenza non forniva una descrizione adeguata dei criteri di eleggibilità considerati. Per questi studi, nella tabella I, nella colonna relativa al numero di studi analizzati, si è scelto di inserire il numero di fonti bibliografiche citate seguite da un asterisco(*).

Il risultato della ricerca preliminare ha permesso di valutare 40 pubblicazioni. Dall’analisi dei titoli, 2 studi sono stati esclusi perché prendevano in considerazione modelli animali15,16 e 13 perché non prettamente attinenti con i criteri d’eleggibilità scelti.17-29 Un articolo è stato escluso dopo lo studio della sintesi poiché incentrato su modelli animali.30 Due articoli sono stati eliminati dal campione finale dopo la letteratura del testo completo. Di questi, 1 si discostava eccessivamente dal tema scelto31 mentre l’altro, “Sugar addiction: the state of the science”,32 è stato ritenuto simile ad un altro articolo selezionato, “Sugar addiction: from evolution to revolution”. Tra i 2 si è preferito selezionare quest’ultimo in quanto più recente e completo.

Gli articoli ritenuti idonei al fine di questa review sono stati 22.

Mentre per le revisioni sistematiche e le metanalisi il processo metodologico di stesura degli articoli è più rigido, lo stesso non si può dire delle revisioni letterarie. Questo porta naturalmente a limitazioni notevoli dell’efficacia di questi studi, come:

1. possibilità di perdere riferimenti utili nel processo di ricerca e selezione del campione;

2. impossibilità di una valutazione dell’efficacia dei singoli studi presi in esame e di una loro stratificazione.


il concetto di dipendenza alimentare

Per decenni i ricercatori hanno discusso sulla possibilità che alcune forme di eccesso di alimentazione si potessero manifestare con un comportamento simile alla dipendenza e che alcuni cibi potessero avere un potenziale ruolo assuefacente.6 Tuttavia, solo a partire dal 2000 l’interesse scientifico e dell’opinione pubblica è fortemente aumentato in tale direzione.33

Ciononostante, il tema della FA è estremamente complesso e ancora oggi è al centro di un acceso dibattito. A scontrarsi sono essenzialmente tre visioni del problema: chi è convinto che la FA rappresenti un disturbo da uso di sostanze (substance use disorder, SUD); chi la ritiene una dipendenza comportamentale, data la mancata identificazione di determinati meccanismi neuromolecolari; chi ritiene che la dipendenza da cibo non sia un concetto valido né dal punto di vista comportamentale, né dal punto di vista dei disordini da uso di sostanze, e che di conseguenza non sia necessario definirla.34

Le domande alla base di tutte queste posizioni sono le seguenti: esiste una dipendenza da cibo? E se anche esistesse, ci troveremmo di fronte ad una vera dipendenza o un disturbo del comportamento?

Di fatto quello che ci si chiede è se la FA possa rientrare nella definizione di “addiction” fornita dall’American Society of Addiction Medicine,35 in quella di “substance-related and addictive disorders” del DSM-5 o in quella di “dependence” secondo l’ICD-11.36

Numerosi studi hanno considerato la possibile appartenenza della FA ai SUD così come definiti dal DSM-5.36,37 Quello che emerge è che effettivamente la dipendenza da cibo presenta tutte le caratteristiche relative alla perdita di controllo, al deterioramento sociale e all’uso continuo nonostante i rischi, mentre è più difficile associarle i criteri farmacologici caratteristici di altri tipi di dipendenza. In particolare, mentre sarebbe possibile avvicinare il concetto di “tolleranza farmacologica” e di “desensibilizzazione” con la tendenza di persone “affette” da FA di aumentare progressivamente il consumo e le porzioni nel tempo (si assiste difatti ad una diminuzione del piacere per l’alimento contestuale all’aumento della sua ricerca),38 lo stesso non può essere fatto quando si parla di “sindrome di astinenza”, di difficile riscontro quando si parla di cibo.39 Ma basta questo per mettere in dubbio l’esistenza della dipendenza da cibo come entità clinica? In realtà per fare diagnosi di SUD basta riscontrare nel paziente in questione due dei criteri definiti dal DSM-5 oltre che un certo distress o disabilità causati dall’uso compulsivo della sostanza incriminata. Prendendo questo come riferimento, e considerando che anche in caso di abuso alcolico la sindrome d’astinenza è presente solo in un terzo dei pazienti, non sembrerebbe esserci ragione per non ritenere la FA un’entità nosologica di rilevanza clinica.36

Eppure, molti autori criticano proprio questo modo di pensare “associativo”. Se la dipendenza alimentare fosse un’entità nosologica a sé stante, non sarebbe necessario sfruttare un concetto generale come quello espresso dal DSM-5 per darle una connotazione. Per alcuni ricercatori non sarebbe dunque altro che una normale risposta biofisiologica adattativa ad uno stile di vita corrotto dalle pressioni socio-culturali moderne.40

Finlayson, ad esempio, fa notare come il costrutto della FA si basi su due principi che, come vedremo in seguito, sono tutt’altro che solidi, ossia sulla classificazione di alcune sostanze come potenzialmente inducenti dipendenza e sull’ipotesi che alcuni individui siano suscettibili a diventarne dipendenti.40 È infatti opinione dell’autore che l’aumento dell’attenzione della società scientifica su questo costrutto sia corretto più da una pressione politica e culturale derivante dall’esponenziale problema dell’obesità, piuttosto che da effettive basi metodologicamente validate.


neurobiologia della food addiction

Tra gli argomenti al centro del dibattito sulla dipendenza da cibo ci sono anche i meccanismi alla base del suo instaurarsi. Sebbene sia ormai riconosciuto come gli alimenti riescano ad attivare i circuiti della ricompensa similmente alle comuni sostanze d’abuso, il modo con il quale questi interagiscono con il nostro sistema nervoso non è chiaro.

È possibile misurare e visualizzare gli effetti della FA similmente a quanto avviene in altri casi di dipendenza? Questo è il quesito di partenza di molte critiche all’effettiva ammissibilità di questo costrutto.

Il maggiore responsabile dell’instaurarsi del meccanismo della dipendenza è il sistema mesolimbico dopaminergico e la sua iperstimolazione ad opera delle sostanze da abuso. La dopamina gioca infatti un ruolo importante nella percezione del piacere, nell’apprendimento e nella memoria.41

Le strutture neuroanatomiche facenti parte del circuito della ricompensa sono molteplici e ognuna possiede un ruolo specifico. L’area tegmentale ventrale, la substantia nigra e il nucleo accumbens sono deputati alla processazione dello stimolo della ricompensa, laddove amigdala e ippocampo si occupano della creazione della memoria relativa allo stimolo edonistico. In aggiunta, la corteccia orbitofrontale è l’area che si occupa della progettazione delle azioni in funzione di una possibile ricompensa e punizione, mentre la corteccia prefrontale ed il giro del cingolo anteriore svolgono un ruolo inibitorio e di regolazione della risposta emotiva.41

Come si può leggere in “Palatable hyper-caloric foods impact on neuronal plasticity”, è altamente probabile che durante il periodo di sviluppo neuronale l’influenza di un ambiente obesogeno possa portare ad una plasticità neuronale maladattativa.42

Ad esempio, a sostegno del ruolo degli stimoli esterni nel modificare il nostro sistema nervoso, alcune ricerche hanno rilevato come la leptina interferirebbe con l’instaurarsi del meccanismo della ricompensa mentre la grelina lo favorirebbe.43 Anche l’ormone concentrante la melanina e l’oressina, secrete dall’ipotalamo laterale, sembrerebbero intervenire in risposta al consumo cronico di cibi estremamente piacevoli al palato.44

In “Meeting of minds around food addiction: insights from addiction medicine, nutrition, psychology, and neurosciences”, Costant opera insieme ai suoi colleghi una revisione della letteratura sulla FA dal punto di vista di quattro specialisti di differenti settori: lo specialista in medicina della dipendenza, il nutrizionista clinico, lo psicologo e il neuroscienziato comportamentale.36 Proprio in quest’ultima sezione vengono presi in considerazione sette studi che analizzano le caratteristiche morfo-funzionali cerebrali dei pazienti con FA identificati tramite la Yale Food Addiction Scale (YFAS).

Utilizzando la risonanza magnetica, in pazienti con FA si sono riscontrati: ridotta attivazione in corrispondenza dei giri temporale e occipitale mediali, nella regione di precuneo e scissura calcarina fino al cingolo posteriore, e nel giro frontale inferiore;45 modificazione dello spessore della corteccia orbitofrontale laterale inferiore sinistra;46 risposta maggiore nel giro frontale superiore in pazienti con FA quando esposti a cibi ultraprocessati47 rispetto a cibi minimamente processati;48 correlazione tra YFAS e connettività funzionale tra amigdala e nucleo accumbens.49

Inoltre è stato dimostrato, alla FDG-PET, attivazione direttamente proporzionale rispetto all’YFAS di talamo, ipotalamo, mesencefalo, putamen e corteccia occipitale, in risposta a fotografie di cibi ipercalorici dolci, e riduzione proporzionale dell’attivazione della corteccia orbitofrontale.50

È interessante notare come questi studi confermino le evidenze riscontrate nello studio del 2011 di Gearhardt di una maggiore attività alla risonanza magnetica nucleare delle zone cerebrali corrispondenti al circuito della ricompensa, in maniera simile a quanto è riscontrabile in pazienti affetti da SUD.11

Utilizzando altre metodiche, infine, è stato dimostrato un alterato controllo cognitivo in pazienti positivi alla YFAS, simile a quelle che ci si aspetta in pazienti con SUD.37,51

Da questi articoli sembrerebbe quindi emergere l’esistenza di un chiaro pattern neurologico corrispondente alla FA. Nonostante questo, vi sono autori che mettono in dubbio la rilevanza di questi dati.

Come puntualizza Fletcher nella review “Food addiction: a valid concept?” la sua opinione in merito è la stessa enunciata in un’altra sua review del 2012: le variazioni riscontrate alle metodiche di neuroimaging funzionale in pazienti con diagnosi di FA non sono paragonabili a quelle presenti in altre forme di dipendenza e la mancanza di risultati coerenti tra i numerosi studi effettuati nel corso degli anni fa protendere piuttosto per la negazione del concetto di dipendenza da cibo.14,52

L’autore riconosce l’enorme passo in avanti attuato grazie allo studio dei modelli animali e critica il fatto che la ricerca in quella direzione ha subito un rallentamento. È necessario, a suo parere, continuare a studiare la neurobiologia del fenomeno andando a progettare degli studi inattaccabili dal punto di vista metodologico.

Un punto di vista più moderato è quello di Belinda e Jochen Lennerz.41 Nella loro revisione della letteratura puntualizzano che l’intervento del sistema della ricompensa nell’alimentazione rappresenta un normale espediente evoluzionistico, utile, ad esempio, per farci assumere un’adeguata quantità di cibi calorici.40 Il problema relativo alla dimostrazione di un meccanismo alla base della FA potrebbe quindi essere riassunto con la definizione di una soglia di attivazione del circuito oltre la quale si attesti una condizione patologica.


la yale food addiction scale

Tra i vari questionari e scale di valutazione che sono stati proposti per indagare la FA (Eating behaviors Questionnaire, Eating Behavior Patterns Questionnaire, Food Craving Questionnaire, Power of Food Scale, ecc.37), la YFAS è probabilmente il mezzo più efficace e validato.

Questa scala è stata sviluppata nel 2009 come tentativo di racchiudere le definizioni esistenti e di creare un unico strumento che consentisse la misurazione della dipendenza da cibo e dei suoi sintomi, sulla base di criteri estrapolati dal DSM-IV.53 Inizialmente, consisteva in un questionario di 25 domande.

In seguito, nel 2013, in base ai nuovi criteri editi nella quinta edizione del manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi del Comportamento (DSM-5), la scala venne modificata al fine di renderla coerente con il nuovo manuale.54,55 Nacque così la YFAS 2.0, un nuovo strumento con migliori capacità psicometriche rispetto la prima versione ed elevata capacità diagnostica.55

Sebbene inizialmente fosse stata pensata come uno strumento per la diagnosi di FA in pazienti adulti, nel 2013 è stata validata la YFAS-C, ovvero una versione della YFAS per i bambini. Lo scopo di realizzare uno strumento di diagnosi anche per questa categoria di pazienti parte dal presupposto che alcuni cibi possano avere un uguale o maggiore effetto assuefacente anche su di loro, a causa di vulnerabilità fisiologiche e neurobiologiche che si sviluppano in giovane età. La validazione è avvenuta partendo da un campione di 75 bambini di diverso Indice di Massa Corporea (Body Mass Index, BMI), in un range comprendente sia soggetti normopeso che obesi.56

La validazione della YFAS 2.0 in italiano (I-YFAS 2.0) è avvenuta nel 2017, in seguito ad uno studio condotto su 574 studenti universitari italiani presso l’Università Magna Grecia di Catanzaro.57

Sempre nel 2017 è stata proposta una versione più breve della YFAS 2.0, chiamata m-YFAS 2.0 (modified Yale Food Addiction Scale), al fine di sviluppare rendere più rapida l’analisi del test. Questa forma più breve ha mostrato un indice di affidabilità e validità simile alla versione estesa.58

Dei 23 articoli elegibili per questa revisione, solo uno si focalizza primariamente su questa scala di valutazione.59

La revisione sistematica sulla YFAS scritta da Penzenstadlet et al. è basata su una ricerca effettuata nei database Medline, PsycINFO e PsyARTICLE di studi che utilizzano questa scala per la diagnosi di disturbi di iperalimentazione. Il limite principale dello studio è rappresentato dalla non omogeneità degli articoli dal punto di vista della YFAS utilizzata: la maggioranza degli articoli inseriti nella revisione, infatti, utilizzava la vecchia versione, mentre sette studi utilizzavano la YFAS 2.0 e uno la mYFAS. Inoltre, le popolazioni studiate negli articoli erano per la maggior parte donne sovrappeso e gli studi inclusi nella review erano limitati ai tre anni precedenti la pubblicazione (2019).

Da quanto si evince, la prevalenza della FA utilizzando questa scala di valutazione si è attestata tra lo 0% ed il 25,7% in campioni non clinici e tra il 6,7% ed il 100% in contesti clinici (bulimia nervosa). La frequenza in questo caso si attestava maggiormente tra il 72,3% ed il 90,6%. Utilizzando la YFAS 2.0, invece, la prevalenza oscillava tra l’8,2% ed il 22,2% in popolazioni clinicamente silenti. Questa versione della scala, inoltre, ha permesso un’analisi del livello di gravità della FA, più comunemente di grado elevato.

Dalla revisione è emersa anche una correlazione positiva tra BMI e punteggio alla YFAS.

Rispetto ad altri disturbi del comportamento alimentare, è stato possibile identificare una correlazione tra FA e bulimia nervosa (BN) e tra FA e Binge Eating Disorder (BED). In particolare, è stata riscontrata una correlazione positiva tra lo score alla YFAS ed il punteggio corrispondente al BED. In generale, persone con un più alto punteggio alla YFAS presentavano maggiori difficoltà nella regolazione emozionale e un punteggio maggiore all’analisi dell’alimentazione emozionale.

Persone con più evidenti sintomi di FA sono state collegate ad una maggiore incidenza di depressione, ansia e stress.

Un punteggio elevato alla YFAS sembra correlare positivamente con quello derivato dalle scale di impulsività.59

Le critiche mosse verso la YFAS sono principalmente due: è uno strumento basato sulle risposte riportate dal paziente piuttosto che su dati oggettivabili e può fornire un punteggio simile tra persone con quadri clinici estremamente diversi. Pertanto alcuni autori invitano alla prudenza nel suo utilizzo e di evitare di basare la legittimazione della FA tramite la letteratura che la sfrutta.40


diagnosi differenziale

Tra i punti maggiormente criticati del concetto della FA c’è la sovrapposizione con altre diagnosi, soprattutto il BED, ma anche BN e disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati (EDNOS).37

Come puntualizzato negli articoli di Meule e Sosnowska, tra il 40 e l’80% degli individui affetti da BED possono essere classificati come dipendente da cibo.34,60 Allo stesso modo, più dell’80% degli individui affetti da BN potrebbe rientrare nei criteri di dipendenza alimentare.61 Da una parte, comunque, è possibile ritrovare degli individui che rientrano nei criteri diagnostici YFAS per la FA anche senza avere diagnosi di BED; dall’altra, la maggioranza di questi individui rientra in alcuni, non tutti, criteri del BED, presentando eventualmente episodi di binge eating poco frequenti e limitati.62

Sosnowska analizza in tal senso le similitudini e le differenze tra FA e BED.60 In particolare, riporta le seguenti differenze tra le due condizioni:

1. gli episodi di comportamento alimentare alterato sono continui nella FA ed episodici nel BED;

2. nella FA i pazienti hanno la sensazione di desiderare un determinato tipo di cibo, mentre nel BED non si avverte niente simile alla fame;

3. nella FA il paziente percepisce un determinato alimento come estremamente piacevole al palato, mentre nel BED è più importante la quantità della qualità;

4. il cibo nella FA viene utilizzato per indurre una risposta edonistica, mentre nel BED ha una funzione di riduzione della tensione mentale;

5. la carenza di cibo viene percepita tendenzialmente in maniera positiva nel BED, come se si fosse evitata una situazione di discomfort, mentre nella FA non fa altro che aumentare ansietà e rabbia;

6. nel BED l’iperalimentazione avviene soprattutto nel tempo libero, mentre nella FA le attività quotidiane e le relazioni sociali possono risentire del desiderio dell’alimento;

7. il cibo viene consumato preferenzialmente in solitudine nel BED, mentre nella FA non importa se sono presenti altre persone. Anzi, a volte è proprio la compagnia a causare gli episodi di iperalimentazione;

8. i pazienti affetti da BED sono coscienti del fatto che ingeriscono porzioni di cibo eccessive, mentre quelli con FA, a causa di meccanismi neuronali di difesa, non si rendono conto di quanto mangiano;

9. nel BED è elevata la preoccupazione per la forma ed il peso corporei, a differenza della FA;

10. nel BED il peso è sempre aumentato, a differenza della FA;

11. nella FA sono presenti tipici sintomi della dipendenza, a differenza della BED.


Riuscire a discernere adeguatamente le due tipologie di disturbo si potrebbe rivelare essenziale per attuare misure terapeutiche adeguate.60

Un approccio meno “separatista” viene suggerito da Wiss et al., i quali hanno suggerito che al fine di migliorare l’inquadramento del paziente, si potrebbe accorpare la FA agli altri disturbi del comportamento alimentare (Eating Disorders, ED). Gli autori nel loro studio presentano quindi il diagramma DEFANG (Disordered Eating Food Addiction Nutrition Guide), uno strumento che non considera ED, FA e SUD come entità totalmente separate ma come collegate intimamente tra loro. Ogni paziente, in base alla prevalenza degli atteggiamenti di SUD, BN, Anoressia Nervosa (AN) o FA nel suo specifico quadro clinico, potrebbe essere associato ad un diverso DEFANG. Il team multidisciplinare di specialisti che lo prenderà in carico potrà in questo modo pianificare una strategia di trattamento totalmente personalizzata.61


trattamento

Attualmente non è stata validata una terapia per la FA, ed è per questo che spesso il disturbo viene diagnosticato ma non trattato.55,63

Meule ha analizzato le possibili implicazioni che il concetto FA avrebbe sulla pratica clinica.34 Dal punto di vista della psicoeducazione, un approccio incentrato sulla dipendenza potrebbe risultare utile in una determinata tipologia di pazienti, così come è stato visto in persone affette da bulimia nervosa.34 D’altra parte, questo potrebbe essere rischioso in persone obese in quanto la conseguente riduzione dello stigma sociale e dell’auto-colpevolezza potrebbe avere come effetto collaterale una riduzione dell’attenzione per uno stile di vita salutare.40 L’effetto sarebbe tanto più deleterio anche perché solo una minima parte delle persone affette da obesità presenta FA.

Parlando più propriamente di psicoterapia, vi sono evidenze che metodiche normalmente utilizzate per il trattamento dei SUD sono efficaci nel ridurre il desiderio ed il consumo di cibo. Va anche detto che questo avviene anche in contesti non clinici, in persone non diagnosticate con FA. In generale, comunque, la stimolazione cerebrale transcranica, il bio-/neurofeedback, le tecniche di modificazione del bias cognitivo ed esercizi della funzione esecutiva potrebbero essere utilizzati per trattare i pazienti con dipendenza alimentare.38

Tramite la terapia cognitivo comportamentale (CBT) classica vengono portati avanti colloqui motivazionali nei quali viene richiesto ai pazienti di valutare criticamente i pensieri, i sentimenti ed i comportamenti che danno vita alle risposte disadattive.64 Un ulteriore approccio risiede nella ACT (acceptance and commitment therapy), facente parte delle cosiddette “CBT della terza onda”, nella quale si integra mindfullness, strategie di accettazione e d’impegno all’azione.65

Se si prende più attentamente in esame la stimolazione transcranica (transcranial direct-current stimulation, tDCS), Chen et al. ne dipingono un quadro completo nella loro metanalisi.66 Gli autori hanno utilizzato il metodo PICO per ricercare evidenze riguardo l’effetto della stimolazione transcraniale (I), attiva o sham (finta) (C), sul craving (O) di pazienti con dipendenza da cibo o altre sostanze (P).66 In particolare, gli autori si sono concentrati su parametri della stimolazione (sito, intensità, numero di sessioni, durata), tipi di sostanze (droghe, tabacco, alcohol, cibo) e questionari per misurare il craving.

Dall’articolo risulta evidente come la tDCS abbia un effetto statisticamente significativo rispetto ad una falsa stimolazione sul craving in corso di dipendenze, influenzato soprattutto dal numero di sessioni (meglio se multiple) e non dal sito di stimolazione, dall’intensità della corrente o dal tipo di sostanza da abuso. Il modo con cui questo avviene non è tuttavia chiaro. Tra le varie ipotesi vi è il possibile aumento del controllo cognitivo, ottenuto tramite la regolazione della plasticità neuronale e un aumento dell’induzione della rete di controllo esecutivo.

Tra le evidenze più interessanti vi è quella che la tDCS sembrerebbe essere più efficace in caso di abuso di sostanze stupefacenti e meno efficace in caso di dipendenze alimentari, suggerendo che i meccanismi alla base dei due tipi di dipendenza sia sostanzialmente diverso.

Un altro trattamento discusso parlando di FA è l’astinenza per determinati tipi di cibo o determinati ingredienti, così come portato avanti dalla “Sovrappeso Anonimi” (Overweight Anonimus, OA) nel suo programma annuale. Questo modello è considerato da alcuni poco efficace se non deleterio in quanto potrebbe portare ad un aumento del craving per il cibo incriminato, mentre altri lo ritengono una possibile linea d’azione nella terapia cognitivo-comportamentale, dato che è stato dimostrato il calo del desiderio dell’alimento assuefacente in seguito a regimi dietetici caloricamente restrittivi.60 La condotta migliore sarebbe quindi evitare di prescrivere diete privative rigide, totalmente non comprendenti cibi ad alto potere assuefacente, e preferire diete con ridotto introito calorico ma comunque con una buona varietà alimentare.

Infine, ancor più che nel BED, il supporto delle persone vicine al paziente risulta di estrema utilità al fine di un trattamento adeguato del disturbo.60


cibi e dipendenza

Mentre molte sostanze d’abuso sono agonisti recettoriali di determinati ligandi endogeni, alla base della FA ci potrebbe essere modificazioni metaboliche associate alla digestione di cibi specifici. Gli studi sull’argomento sono primariamente animali, ma in alcuni studi su soggetti umani si è visto come un fattore comune delle condotte da dipendenza alimentare è la presenza di cibi ultraprocessati, ad alto indice glicemico e/o ad alto contenuto di grassi. Tra le varie ipotesi avanzate c’è quella che associa i rapidi cambiamenti metabolici che avvengono a seguito dell’assunzione di cibi ad alto contenuto energetico con il rapido mutamento nel profilo dei neurotrasmettitori a seguito del consumo di sostanze da abuso.36,41

Questo modello risulta ancora moderatamente valido quando parliamo di zuccheri, ma non di grassi.

I cibi ad alto tenore glicemico sono ancora i principali sospettati dell’instaurarsi di meccanismi di dipendenza alimentare. I modelli animali in prima battuta, ma anche alcuni modelli umani, sembrerebbero confermare questa ipotesi. Un dato interessante è emerso riguardo ai dolcificanti non alimentari, ossia dolcificanti che non apportano calorie con la digestione: aspartame, saccarina, sucralosio, ecc. Apparentemente, l’utilizzo di questi dolcificanti riuscirebbe comunque a stimolare i meccanismi di ricompensa e craving, facendo supporre che il sapore stesso di questi prodotti e non il loro elevato potere energetico sia alla base di tali risposte.42 I dati in merito sono derivati soprattutto da modelli murini, ed i pochi studi umani a sostegno di queste scoperte non escludono la presenza di confondimenti significativi.

D’altra parte, glucosio ed insulina esplicano un effetto diretto ed indiretto sul sistema mesolimbico. Ad esempio, entrambi modulano la secrezione di dopamina, l’insulina aumentandone il reuptake ed il glucosio tramite la stimolazione di canali del potassio dipendenti dall’ATP.41

Da questo punto di vista, i dati che emergono sono variabili ed interessanti. Ad esempio, è stato visto come tra due bevande di sapore simile si preferisca quella a più alto contenuto di carboidrati. Inoltre, è stato studiato come situazioni di lieve ipoglicemia attivino le vie limbico-striatali e stimolino il desiderio di cibi ad alto indice glicemico e una maggiore elevazione del glucosio sierico correli positivamente con una maggiore attivazione del circuito ipotalamo-striatale.67

“Fat addiction: psychological and physiological trajectory” è una revisione narrativa che analizza specificatamente il contributo dei grassi nei fenomeni di dipendenza.37 Proprio per questo si è deciso di includerla nel presente studio nonostante il considerevole spazio dedicato ai modelli animali.

Più articoli hanno dimostrato come pazienti con diagnosi di FA presentino un’alimentazione maggiormente ricca in grassi. Inoltre, la gravità dei sintomi relativi alla FA sembrerebbe essere direttamente proporzionale al contenuto di lipidi nella dieta.

Gli acidi grassi interagiscono con le papille gustative attivando l’asse lingua-cervello-intestino e provocando i mutamenti neurologici alla base della preferenza per cibi grassi nella dieta. A questa porzione “emozionale” del comportamento alimentare si contrappone la componente metabolico-omeostatica: uno squilibrio tra queste due componenti favorirebbe la deviazione verso un fenotipo obeso.

Dal punto di vista neurobiologico, facendo riferimento soprattutto a modelli animali, è stato possibile dimostrare l’esistenza di meccanismi neurochimici alla base della dipendenza dagli zuccheri, ma non per quella da grassi.37 Questa discrepanza potrebbe suggerire l’esistenza di differenti pathway di attivazione di questi circuiti neuronali, oppure la maggior vicinanza della dipendenza dai grassi a dipendenze comportamentali quali il gioco d’azzardo. In ogni caso non è stato ancora dimostrato nessuna modificazione neuronale nell’uomo in corso di dipendenza da zuccheri e grassi.

Un’ipotesi interessante è quella che il potere di indurre dipendenza di un alimento siamo noi stessi ad attribuirlo, come se ripetere “il cibo non salutare è quello più buono” ci abbia convinto che questa sia la verità. In questo caso, il confondimento affettivo potrebbe essere risolto tramite terapia di condizionamento.38

Tra le evidenze più curiose c’è l’osservazione che per quanto riguarda il potere assuefacente, questo è minimo per zuccheri e grassi “puri” e massimo per quei cibi contenenti circa il 35% di grassi ed il 45% di carboidrati.41

Gli studi finora pubblicati presentano risultati contrastanti e manca una spiegazione chiara sui meccanismi per i quali determinati cibi riescano ad indurre dipendenza.


obesità e dipendenza

Nonostante gli sforzi attuati in prevenzione e l’avanzare del sapere scientifico in merito ai trattamenti, l’obesità continua a diffondersi, così come le patologie ad essa associate e il suo peso sull’economia: basti ricordare che tra le comorbilità a questa patologia ci siano patologie cardiovascolari e diabete di tipo 2, ossia le principali cause di disabilità e morte nei paesi industrializzati.

Come accennato nella sezione precedente e come viene ulteriormente ribadito da Gordon e Shulte, alcuni cibi mostrano un’elevata appettibilità per la presenza di agenti addittivi che non aumentano i valori nutrizionali ma la loro gradevolezza.9,68 Perciò, attraverso l’alterazione dei processi neurocognitivi coinvolti nel controllo dell’assunzione di alimenti,69 la FA potrebbe essere coinvolta nella patogenesi dell’obesità e in parte spiegare il fallimento del suo trattamento.

La ricerca ha documentato una lunga serie di vulnerabilità psicologiche, emotive, psicosociali, comportamentali e di personalità nei pazienti con FA. Diversi studi hanno riscontrato una correlazione positiva tra l’aumento di peso e specifiche risposte emotive: le reazioni psicologiche e fisiche provate in risposta a qualche evento esterno possono minare la regolazione emotiva ed indurre un aumento dell’assunzione di cibo.70,71 Studi che analizzano il ruolo dell’impulsività nella FA hanno evidenziato come questa sia un fattore predisponente ma anche una conseguenza dell’aumento dell’introito alimentare.72,73 Di conseguenza i domini associati al costrutto dell’impulsività, come un minore autocontrollo ed una maggiore sensibilità alla ricompensa, aiutano a definire un ponte tra dipendenza ed obesità.74 Lo stesso discorso può essere fatto parlando di mancanza di stimoli e noia, elementi associabili sia alla dipendenza alimentare che ad un aumento critico del peso corporeo.75

La dipendenza da cibo è identificabile, in media, in un decimo della popolazione normopeso ed in un quarto di quella obesa.34 È maggiormente presente tra i pazienti affetti da DCA36,59 e colpisce più le donne che gli uomini. La prevalenza potrebbe essere maggiore nelle persone per le quali è indicata la chirurgia bariatrica,76 anche se alcuni studi riportano prevalenze minori.36 Inoltre, tra il 20 ed il 30% delle persone sottoposte a questo tipo di trattamenti riprende il peso perso a causa di disturbi del comportamento alimentare ripresentatisi, slatentizzatisi o quantomeno acuitisi a seguito dell’intervento. Per le caratteristiche proprie di questi EA, quali alimentazione incontrollata e craving, si potrebbe pensare alla FA come concausa di questa ripresa.

Se viene analizzata più attentamente la letteratura in merito alla FA in pazienti candidati per la chirurgia bariatrica, le evidenze sono molteplici.

Alcuni studi hanno rilevato alti livelli di dipendenza alimentare prima della chirurgia, ma con significativa riduzione nei dodici mesi successivi all’intervento.77 Secondo alcuni, la perdita di peso potrebbe essere alla base di questa remissione.

In ogni caso, non è stato possibile riscontrare variazioni significative di peso nei pazienti con FA rispetto a quelli senza assuefazione alimentare sia prima che dopo l’intervento, e i punteggi allo YFAS dopo l’operazione non risultano significativamente predittivi del recupero di massa grassa nel breve e lungo periodo.

Altro fattore da prendere in considerazione è che i pazienti obesi operati presentano un rischio più elevato di sviluppare un SUD Questa tendenza potrebbe essere spiegata anche in virtù della maggiore prevalenza di FA in questi pazienti e con il trasferirsi di questa dipendenza dal cibo ad un’altra sostanza. Similmente, pazienti con elevato punteggio allo YFAS nel pre-operatorio riportavano episodi di abbuffate più frequenti e severi, oltre ad altri disturbi del comportamento alimentare e psicopatologie.77

In generale, tra i pazienti obesi la FA è maggiormente correlata con fattori psicologici (sintomi depressivi e qualità di vita) che con parametri metabolici (BMI, circonferenza di vita).78

Un ponte tra FA e chirurgia bariatrica è quindi possibile, ma bisogna tenere presente che i dati in merito sono a volte contrastanti. Ciò non toglie che uno screening sistematico della FA nei pazienti con BMI elevato dovrebbe essere parte integrante dell’iter diagnostico in caso di eleggibilità per la chirurgia bariatrica, in aggiunta allo screening per DCA che già adesso dovrebbe essere comunemente eseguito.

Infine, al di là di questa categoria di pazienti, validare il concetto di dipendenza da cibo aiuterebbe a ridurre la stigmatizzazione sociale dell’obesità e a permettere l’introduzione di misure igieniche restrittive nei confronti di alimenti con alto potenziale assuefacente, al giorno d’oggi poco accettate dalla popolazione generale. Permetterebbe di approcciarsi al problema dell’obesità similmente a come è avvenuto per il fumo.76

Una terapia personalizzata e un intervento psicoterapeutico ottimizzato nei pazienti con dipendenza da cibo possono aiutare nella prevenzione dell’obesità, riducendo le relative comorbilità e relativi costi e migliorare i risultati della chirurgia bariatrica.


ambito psicosociale

Il costrutto della FA è estremamente complesso ed articolato. Per tale ragione è fondamentale un approccio integrato e multidisciplinare in cui si indaghi l’eziopatogenesi del disturbo, i fattori di rischio e di mantenimento, in modo da pianificare procedure individualizzate che permettano il mantenimento dei risultati raggiunti e la riduzione di complicanze e patologie correlate.

Vergogna e senso di colpa possono essere le risposte emotive dei pazienti rispetto all’iperalimentazione. Probabilmente queste reazioni sono il risultato dallo stigma sociale associato a problemi di peso ed è per questo che affrontarlo è un aspetto fondamentale nel percorso terapeutico dell’obesità.79 Stereotipi dannosi radicati descrivono le persone obese come pigre, mancanti di forza di volontà e con la tendenza a prendere delle scelte sbagliate.38,80 La definizione del costrutto della FA si è dimostrata avere un impatto benefico sotto questo punto di vista, permettendo la diminuzione da una parte del carico sociale del problema e dall’altra del senso colpa.81,82 D’altra parte, una minimizzazione del proprio ruolo nella genesi della patologia potrebbe condizionare negativamente il suo andamento e far percepire al paziente come essa sia incontrollabile o come se lui sia giustificato nel perpetrare uno stile di vita non sano.83 Come poi fa notare Finlayson, la parola “dipendenza” nella cultura moderna ha principalmente una connotazione negativa ed è politicamente associata ad una condotta criminale o degenerata.40 Inciterebbe quindi un giudizio sulla moralità che decisamente non è di aiuto in ambito clinico.

Il modello biopsicosociale applicato ai disturbi da uso di sostanze cerca di analizzare la manifestazione fenotipica considerando le variabili biologiche, familiari, psicosociali e culturali.84 Accostandolo alla tematica della FA, è stato possibile identificare il ruolo di stress, traumi ed eventi significativi nella vita della persona, soprattutto nei primi anni di vita, come fattori di rischio per questa patologia, anche se con meccanismi poco chiari.85 Uno studio, ad esempio, ha rilevato in un campione di giovani adulti esposti a più tipologie di maltrattamento un consumo eccessivo di bevande zuccherate.86

Lo stress cronico è stato al centro di diverse indagini relative al comportamento in ambito alimentare. Sono stati descritti più percorsi che collegano lo stress all’obesità: l’interferenza con i processi cognitivi (funzione esecutiva, autoregolazione), il comportamento (alimentazione, attività fisica, sonno), i cambiamenti fisiologici (asse HPA, elaborazione della ricompensa, microbioma intestinale) e la produzione di ormoni e peptidi biochimici (leptina, grelina, neuropeptide Y).87

La qualità della dieta è legata allo status socio-economico, che può avere un impatto positivo o negativo sulla stessa.88 Variabili positive quali salute mentale materna, sicurezza scolastica e resilienza del bambino hanno un effetto benefico sulla salute alimentare di un individuo.89 Anche l’ambiente domestico è importante.90 Ad esempio, il consumo di frutta e verdura da parte dei genitori è collegato al consumo di frutta da parte degli adolescenti,91 così come la presenza di un’alta densità di junk food in casa influenza negativamente il rischio di sviluppare obesità.92

La misura in cui ciascuno dei disturbi psicologici, comportamentali e sociali sia correlata alla FA ancora non è chiara. Una maggiore comprensione di queste complesse relazioni garantirà una descrizione migliore del suo costrutto biopsicosociale e permetterà l’identificazione precoce dei profili ad alto rischio.93 Per fare questo però è necessario promuovere un approccio multidisciplinare completo che tenga conto delle componenti ambientali, emotive e cognitive del mangiare, la capacità di regolazione emotiva, i tratti di personalità e lo stigma relativo al peso.


prospettive per il futuro

Come risulterà chiaro al termine di questa trattazione, non siamo ancora in possesso di prove definitive dell’esistenza di una dipendenza da cibo come entità a sé stante. La naturale conseguenza di questo è che per dirimere in maniera esaustiva la questione sono necessari ulteriori studi. L’impatto di un inquadramento chiaro della FA sulla pratica clinica potrebbe infatti aprire nuovi scenari nell’iter terapeutico di alcune categorie di pazienti.

Spunti interessanti sulle prospettive per il futuro vengono forniti da Fletcher e Kenny nella loro review.52 Difatti, gli autori concludono l’articolo elencando le strade percorribili per giungere ad una spiegazione più esaustiva del tema, citando di volta in volta gli studi, soprattutto sui modelli animali, più promettenti al riguardo. Essi suggeriscono la possibilità di studiare l’impatto del cibo sull’omeostasi del glutammato striatale o sulla risposta adattativa neuro-molecolare del circuito della ricompensa, profondamente mutate in altri tipi di dipendenze. Si auspicano, inoltre, una chiarificazione del ruolo dei cosiddetti cibi iperpalatabili e dei meccanismi tramite i quali essi parteciperebbero all’instaurarsi della FA, alla luce del fatto che non è tanto la quantità di cibo consumata a modificare il profilo neuronale, quanto la tipologia ed il pattern d’assunzione. O ancora, chiedono una maggiore definizione dell’importanza della riduzione della funzione della corteccia prefrontale nell’instaurarsi dei meccanismi assuefacenti.

Un inquadramento della problematica prestando attenzione oltre che sulle similarità anche sulle differenze con le altre forme di dipendenza, fornire un quadro più chiaro dell’argomento e permetterebbe, eventualmente, l’utilizzo nei pazienti affetti da FA dei mezzi terapeutici attualmente adoperati nel trattamento di altri tipi di SUD. In questo modo si assisterebbe al miglioramento delle prospettive cliniche in questa categoria di pazienti, altrimenti difficilmente approcciabili.


conclusioni

Risulta evidente come la letteratura in merito alla FA sia estremamente discordante e come ancora non sia possibile un chiaro inquadramento del problema: opinioni diametralmente opposte forniscono spiegazioni convincenti a sostegno delle loro convinzioni e di conseguenza nessuna riesce a prevalere sull’altra. La FA potrebbe essere quindi sia un’entità importante per l’iter terapeutico di determinati pazienti, sia un’eccessiva medicalizzazione di atteggiamenti fisiologici deleteria per altri.

È auspicabile che l’interesse via via crescente per questo argomento possa portare in un futuro prossimo ad una maggiore coesione delle idee in merito.


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