Il decadimento cognitivo in psichiatria:

inquadramento clinico, diagnostico, terapeutico

alessandro martorana, chiara giuseppina bonomi,

francesca bernocchi, martina gaia di donna, martina assogna

UOSD Centro Demenze, Policlinico Tor Vergata, Università di Roma Tor Vergata, Roma


RIASSUNTO

La disfunzione cognitiva si distingue dal deterioramento cognitivo per l’assenza di un carattere di evolutività del disturbo, e può spesso associarsi alla presenza di malattie psichiatriche. Alcuni pazienti psichiatrici presentano tuttavia un effettivo declino, il cui substrato patogenetico non è ancora totalmente chiarito. Grazie al progresso farmacologico e delle condizioni socio-economiche, le prospettive di vita per i malati psichiatrici sono oggigiorno migliori, ma questi miglioramenti hanno anche contribuito a facilitare la progressione delle sindromi psichiatriche verso la neurodegenerazione, tramite processi tra cui l’aggravarsi di condizioni pre-esistenti e l’invecchiamento fisiologico. Riconoscere il manifestarsi di questa progressione è possibile solo con un corretto inquadramento diagnostico, e necessita inoltre di un adeguato trattamento. Pertanto, la consapevolezza che il coinvolgimento delle funzioni cognitive possa evolversi da semplice disfunzione a franco declino rappresenta al giorno d’oggi una sfida per la psichiatria, che apre all’opportunità di inquadrare correttamente i pazienti, comprendere la fisiopatologia dei meccanismi neurodegenerativi in queste malattie, sviluppare marcatori diagnostici affidabili e implementare adeguati interventi terapeutici.

Parole chiave: deterioramento cognitivo, malattie psichiatriche, invecchiamento, neurodegenerazione.


SUMMARY

Cognitive impairment in psychiatry: clinical, diagnostic and therapeutic framework

Cognitive dysfunction and cognitive decline are different conditions among which only the latter is marked by progressive worsening. While cognitive dysfunction appears to be commonly associated to psychiatric conditions, some patients do develop a form of decline, whose pathogenetic substrate is yet to be clarified. Thanks to the development of novel drugs and to the amelioration of socio-economic conditions, both quality of life and life expectancy of patients affected by psychiatric disease have improved, but these improvements also implicitly contributed to ease the progression of psychiatric syndromes towards neurodegeneration, via deterioration of pre-existing pathological changes and age-related processes. Acknowledging such a progression requires a correct diagnostic and treatment approach. Thus, an awareness of a potential evolution of cognitive dysfunction to cognitive decline is a novel challenge for psychiatrists, opening to the opportunity of understanding the pathophysiology of neurodegenerative mechanisms in these diseases, developing ad-hoc diagnostic markers and implementing adequate therapeutical strategies.

Key words: cognitive decline, psychiatric diseases, aging, neurodegeneration.


Il Manuale Statistico e Diagnostico dei disordini mentali (DSM-5) tratta l’argomento “decadimento cognitivo” come disturbo neurocognitivo maggiore, evitando, a nostro avviso correttamente, l’utilizzo del termine “demenza”, del tutto inappropriato sia nella fase di esordio che di progressione della malattia, relegando tale definizione alle fasi più tardive. Tuttavia, non si spinge al di là di questa definizione (tabella I).





I disturbi cognitivi identificano comunque delle patologie che conducono a demenza, aventi patogenesi, percorso diagnostico e opzioni terapeutiche già noti. Al momento, invece, nel DSM-5 non è presente alcun riferimento al decadimento cognitivo proprio delle patologie psichiatriche. Con il miglioramento dei percorsi diagnostici e terapeutici, l’allungamento della vita media, e il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche dei pazienti psichiatrici, nella pratica clinica accade spesso di valutare per sospetto declino cognitivo pazienti che possiedono una diagnosi di malattia psichiatrica certa. I percorsi oggi disponibili e anche la letteratura scientifica più recente non dedicano spazio a tale entità, piuttosto cercano di valutare e identificare caratteristiche proprie di altre patologie, ad esempio la malattia di Alzheimer o talvolta la demenza a corpi di Lewy, per giustificare la presenza del declino dei domini cognitivi di questi pazienti. In qualche modo si ammette che esista una disfunzione cognitiva propria del quadro psichiatrico e che essa accompagni la malattia lungo il suo decorso, in assenza di evoluzioni. Per meglio comprendere l’importanza di tale argomento sarà bene iniziare dalle definizioni di disfunzione e di declino cognitivo.

Il disturbo cognitivo, o disfunzione cognitiva, è una condizione che differisce dal decadimento cognitivo. Il disturbo cognitivo, infatti, rappresenta l’alterazione delle funzioni che regolano i processi cognitivi, con origine da un disordine dello sviluppo, ereditario o perfino degenerativo, la cui comparsa non implica un’inevitabile progressione. Al contrario, il decadimento cognitivo identifica un processo che coinvolge multipli domini cognitivi, che comporta implicitamente una progressione verso un quadro di demenza. I due termini, facenti parte del lessico di specialità mediche diverse, celano, infatti, significati differenti: il decadimento cognitivo, per i neurologi e i geriatri, denota l’insieme dei processi, principalmente correlati all’età o alla malattia di Alzheimer, responsabili dell’evoluzione clinica verso la demenza. Tra gli psichiatri, il disturbo cognitivo indica, invece, la disfunzione dei processi cognitivo-emozionali associati allo spettro dei disordini psichiatrici.1-3 Inoltre, occorre considerare che il coinvolgimento dei domini cognitivi nel contesto delle malattie psichiatriche non è ancora riconosciuto né come effetto di specifici meccanismi patogenetici né come marcatore di progressione di malattia. La consapevolezza dei differenti aspetti e sfaccettature del disturbo cognitivo potrebbe essere utile sia nell’identificazione dei meccanismi patogenetici che sottendono questa disfunzione sia nella definizione prognostica (o persino terapeutica) di queste malattie. In altre parole, in condizioni come la schizofrenia, il disturbo dello spettro autistico o addirittura il disturbo bipolare, il disturbo cognitivo appare come elemento inevitabilmente connaturato a tali quadri sindromici e pertanto immodificabile, senza possibilità di individuarne una possibile causa o di ipotizzarne un intervento terapeutico specifico.3-5

I progressi in ambito diagnostico-terapeutico e lo sviluppo di approcci innovativi non farmacologici, come la stimolazione magnetica transcranica e stimolazione cerebrale profonda6-8 hanno nettamente migliorato la qualità di vita dei pazienti affetti da disturbi psichiatrici. Questi miglioramenti, che si riflettono in un aumento dell’aspettativa di vita, espongono i pazienti a un potenziale decadimento cognitivo, dovuto sia al peggioramento di condizioni patologiche preesistenti sia a processi età-correlati.9 Il perfezionamento delle conoscenze relative a questi cambiamenti potrebbe portare ad una diagnosi precoce e allo sviluppo di nuove strategie diagnostico-terapeutiche volte a ridurre la vulnerabilità dei pazienti.

I disordini psichiatrici sono sindromi differenti ed eterogenee, ciascuna caratterizzata da un proprio carico neuropatologico, da alterazioni di specifici circuiti neurotrasmettitoriali, da disfunzione dei meccanismi di plasticità sinaptica. La genetica, il sesso, l’età e le condizioni socio-economiche giocano un ruolo fondamentale nella presentazione clinica e rendono conto della sua articolata eterogeneità. La disfunzione cognitiva è una componente di questa eterogeneità e può presentarsi con differenti gradi di severità e di velocità di progressione.9,10 Definire la natura del declino cognitivo nelle sindromi psichiatriche e i fenomeni neuroanatomici, chimici e fisiologici che conducono alla sua evoluzione è una sfida aperta per gli specialisti.

I meccanismi patogenetici di questi fenomeni, così come per i disordini neurodegenerativi, rappresentano un interrogativo urgente e in parte ancora insoluto. Studi neuropatologici11-14 hanno dimostrato la presenza di importanti cambiamenti morfologici in termini di variazioni della densità assonale e cellulare a livello corticale e sottocorticale, alterazioni neuronali e neurotrasmettitoriali (specialmente in riferimento all’equilibrio GABA vs Glutammato), di ridotti livelli di mielinizzazione e di densità astrocitaria. Questi cambiamenti sarebbero sufficienti a spiegare la compromissione di alcune funzioni cognitive, confinate per lo più ai lobi frontali. Tuttavia, occorre ancora chiarire se la presenza di questi fattori sia sufficiente a rendere conto dell’evoluzione verso un quadro di demenza, o se altri fattori contribuiscano a causare tale progressione. Da queste premesse emerge quindi la necessità di indicazioni adeguate per una buona pratica clinica.

Come per le malattie neurodegenerative, ci sono dei fattori che giocano un ruolo preponderante nel declino cognitivo, che spesso sono usati come marcatori di specifici processi patologici e i cui effetti vanno necessariamente considerati e ponderati anche nelle sindromi psichiatriche. Tra gli aspetti meritevoli d’attenzione nella valutazione di un sospetto declino cognitivo vanno considerati l’invecchiamento (inteso come processo biologico), l’età all’esordio del disturbo, la comparsa di sintomi non cognitivi quanto comportamentali.

L’invecchiamento è un processo complesso caratterizzato dal progressivo accumulo di deficit e disfunzioni che si instaurano tramite meccanismi diversi (molecolari, cellulari), in diverse modalità (psicologici, psicosociali) e con un tasso di progressione specifico per ciascun individuo.15 Normalmente, viene inteso come condizione fisiologica durante la quale le riserve naturali (e cognitive) vanno incontro a un progressivo depauperamento, pur mantenendo la capacità di supportare e garantire un funzionamento accettabile degli organi vitali. Molte variabili (biologiche, metaboliche, psicosociali, ecc.) possono rivestire un ruolo nella progressione del processo di invecchiamento. Comorbilità come l’ipertensione arteriosa, le cardiopatie, il diabete, le fratture ossee, le malattie infettive, possono severamente influenzare la qualità e la rapidità dell’invecchiamento. Diversi studi hanno dimostrato che la compromissione delle funzioni esecutive (risultato di diverse strutture cerebrali corticali e sottocorticali che operano in reti coordinate e sovrapposte) rappresenta un fattore preponderante nel declino cognitivo legato all’età.16 Dato che l’invecchiamento è un processo condiviso da tutti gli individui, non ci sono ragioni per escludere i pazienti psichiatrici da questa evoluzione17,18 e poiché essi mostrano spesso compromissione delle funzioni esecutive, disfunzione dei meccanismi di plasticità sinaptica, e alterazione di vari circuiti neurotrasmettitoriali, è lecito supporre che il processo di invecchiamento potrebbe subire in questi pazienti un’accelerazione di un certo grado, e che i livelli di riserva naturale/cognitiva potrebbero essere perciò ridotti.19 La frequente coesistenza delle comorbidità sopraddette potrebbe avere un ulteriore effetto negativo sul processo di invecchiamento in questi pazienti.

Anche l’età d’esordio dei sintomi psichiatrici deve essere attentamente valutata. Un esordio relativamente tardivo di sintomi non di natura certamente cognitiva ma comportamentale (apatia, depressione, allucinazioni) deve essere correttamente inquadrato come disturbo primariamente psichiatrico, e non come manifestazione di un processo neurodegenerativo sottostante. Sebbene infatti questi sintomi facciano parte di un corteo sintomatologico prodromico di disordini neurodegenerativi come la demenza frontotemporale20,21 e la demenza a corpi di Lewy,22,23 entrambe le condizioni si manifestano in età presenile, ovvero fra la sesta e la settima decade di vita (demenza presenile).

Al di là delle differenze culturali di approccio alle malattie tra psichiatri e neurologi (o geriatri), ci sono alcuni comuni segni e sintomi che accompagnano gli stadi precoci e terminali del decadimento cognitivo che devono essere valutati per una migliore pratica clinica. Innanzitutto, il declino cognitivo non implica necessariamente il coinvolgimento del dominio della memoria e, come spesso accade anche nella malattia di Alzheimer, il riscontro di un deficit esecutivo invece che mnesico può portare verso una diagnosi inesatta.

Il declino cognitivo spesso si manifesta con segni e sintomi prodromici che possono orientare correttamente il percorso diagnostico.

Le funzioni esecutive (tabella II) sono il prodotto di articolati circuiti corticali e sottocorticali che sottendono dei complessi network interconnessi e integrati.




Diverse aree della corteccia del lobo frontale, ciascuna con le proprie funzioni e proiezioni, i gangli della base e il talamo stabiliscono delle connessioni che integrano tutte queste funzioni. In particolare, la corteccia prefrontale dorsolaterale (dlPFC), la corteccia cingolata anteriore (ACC) e la corteccia orbitofrontale (OFC) contribuiscono, rispettivamente, alle funzioni di programmazione, decision-making e risposta inibitoria. Ciascuna di queste aree, di conseguenza, proietta a differenti nuclei della sostanza grigia sottocorticale: la dlPFC proietta al nucleo caudato dorsolaterale, l’ACC al nucleo accumbens e l’OFC proietta al nucleo caudato ventro-mediale. A loro volta i neuroni medi spinosi di queste regioni convergono le proprie proiezioni al globo pallido interno (GPi) e alla pars reticulata della substantia nigra (SNr), che rappresentano le stazioni di output del sistema dei gangli della base, dalle quali le informazioni vengono trasmesse ai nuclei talamici della porzione ventrale anteriore (VA) e dorso mediale (MD), ciascuno collegato a sua volta alla corteccia. Inoltre, la dlPFC è connessa anche alla corteccia parietale (PRTC), che esercita un effetto modulante sull’attenzione e la working memory. È importante sottolineare che questa complessa rete viene finemente regolata da trasmettitori monoamiergici, come la dopamina e la noradrenalina, la cui disregolazione potrebbe rendersi responsabile della comparsa di quei segni clinici utili nell’identificazione e nella diagnosi del declino cognitivo.

Di conseguenza, la repentina alterazione del ciclo sonno/veglia con insonnia e frammentazione del sonno, l’insorgenza de novo di cambiamenti comportamentali come la comparsa di apatia, la riduzione dell’appetito con perdita di peso, o la comparsa di segni extrapiramidali (genericamente definiti parkinsonismo) possono infatti avvalorare il sospetto di un declino cognitivo incipiente. Il manifestarsi di questi elementi può anticipare e precedere di diversi mesi, e talora di anni, la comparsa di deficit cognitivi.24-26 Sfortunatamente questi segni sono spesso sottovalutati e non correttamente interpretati, e perciò erroneamente gestiti attraverso l’incremento del dosaggio dei farmaci o con una politerapia nel tentativo di controllarli. Al contrario, quando adeguatamente compresi, possono indicare l’esordio di una progressione verso la demenza e permettere di adottare protocolli diagnostico-terapeutici adeguati. Inoltre, occorre sottolineare come anche approcci terapeutici inidonei possano rappresentare fattori confondenti nella comune pratica clinica, poiché l’utilizzo prolungato e continuativo di farmaci antiepilettici (tra tutti il valproato) o neurolettici (sia tipici che atipici) può in molti casi rendersi responsabile di alcune delle manifestazioni cliniche citate precedentemente, in particolare segni extrapiramidali, allucinazioni, apatia. Queste ultime, quindi, potrebbero essere superficialmente inquadrate come effetti collaterali farmacologici, non meritevoli di approfondimenti diagnostici ulteriori. La consapevolezza di un potenziale legame tra questi segni e il declino cognitivo potrebbe invece apportare un notevole contributo nella pratica clinica e nei percorsi diagnostici.


Sfortunatamente, come per gli aspetti clinici, non esistono ancora dei marcatori di declino cognitivo dei disordini psichiatrici e, di conseguenza, manca un’esatta comprensione dei meccanismi patogenetici che sottendono tale declino.27 Uno dei principali punti di forza e di innovazione dell’uso dei biomarcatori sarebbe quello di conferire al neuroimaging e ai fluidi biologici un peso e una rilevanza nell’iter diagnostico delle malattie psichiatriche. Nel 2018 l’American Psychological Association (APA) ha pubblicato un documento di posizione affermando che il neuroimaging non possedeva ancora un ruolo di rilievo nella diagnosi e nel trattamento dei singoli pazienti in un setting di tipo clinico,28 una dichiarazione che contrasta con l’idea che ci sia bisogno di biomarcatori anche per le sindromi psichiatriche. Nella letteratura recente, sono stati testati in molti casi marcatori sia da fluido cerebrospinale che da sangue.29 Tuttavia, questi lavori puntavano più al corretto inquadramento della presentazione neuropsichiatrica delle malattie neurodegenerative dementigene (come la malattia di Alzheimer o la demenza Frontotemporale) piuttosto che alla ricerca di marcatori diagnostici nelle malattie psichiatriche. Ad oggi dati affidabili sulla cascata patogenetica coinvolta nel declino cognitivo delle sindromi psichiatriche non sono disponibili. Se e in che modo gli eventi della cascata amiloidea o della fosforilazione della proteina tau possano contribuire a questa involuzione non è ancora chiaro. Gli studi di imaging con metodica PET e SPECT hanno fornito spunti interessanti sul coinvolgimento dei recettori neurotrasmettitoriali in alcune malattie psichiatriche e sulla patogenesi di questi disordini;30-33 tuttavia, dati sul declino cognitivo sono ad oggi ancora mancanti. Nonostante ciò, alcuni dati incoraggianti relativi a possibili marcatori biologici (micro RNAs) di disordini psichiatrici sono recentemente emersi, sebbene questi sforzi non abbiano portato a risultati conclusivi né all’identificazione di candidati adeguati.

In conclusione, i disordini psichiatrici, in quanto entità sindromiche, spesso non hanno un preciso substrato patogenetico, come accade invece per i disturbi neurologici. Tuttavia, grazie al progresso farmacologico e delle condizioni socio-economiche, le prospettive sono oggigiorno migliori. Questi miglioramenti hanno però contribuito anche a facilitare la progressione delle sindromi psichiatriche verso la neurodegenerazione, e il riconoscimento di questa progressione può passare solamente attraverso un corretto inquadramento diagnostico e un adeguato trattamento. Pertanto, la consapevolezza che il coinvolgimento delle funzioni cognitive possa evolversi da semplice disfunzione a franco declino rappresenta al giorno d’oggi una sfida per la psichiatria, che apre all’opportunità di inquadrare correttamente i pazienti, comprendere la fisiopatologia dei meccanismi neurodegenerativi in queste malattie, sviluppare marcatori diagnostici affidabili e implementare adeguati interventi terapeutici.


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