Dettagli Aprile-Giugno 2001, Vol. 7, N. 2 doi 10.1722/2777.28194 Scarica il PDF(16,9 kb) Citazione Pintus A, Maggini C. Prefazione al N° 24. . doi 10.1722/2777.28194 Scarica la citazione: BibTex EndNote Ris Altro dagli autori Articoli di Antonello PintusArticoli di Carlo Maggini Prefazione al N° 24 titolo - split_articolo,controlla_titolo - art_titolo Prefazione al N° 24 autori - vau_aut_id Antonello Pintus, Carlo Maggini riassunto - art_riassunto RIASSUNTO Il fiorire, senza precedenti, di ricerche psicometriche, epidemiologiche e cliniche sui disturbi di personalità e l'elaborazione di modelli teorici, che hanno fornito il rationale per il loro trattamento, sono riconducibili agli espliciti criteri diagnostici degli attuali sistemi classificativi (DSM-III e successive edizioni del Manuale, ICD-10). Alla rinuncia, fatta propria da queste tassonomie, ai principi jaspersiani della singola diagnosi e della priorità diagnostica dei sintomi e alla sollecitazione, in esse espressamente formulata, a porre diagnosi sia di sindrome che di disturbo di personalità si deve, inoltre, la grande attenzione conferita nella pratica clinica alla personalità disturbata, nel cui contesto le sindromi si attualizzano ed evolvono, ai fini di un esaustivo approccio diagnostico, di un'adeguata pianificazione del trattamento e di un'attendibile predizione dell'esito. La consolidata acquisizione del ricorrere, nella maggior parte dei pazienti psichiatrici, di tratti di personalità maladattivi clinicamente significativi, ha reso la valutazione della personalità un'ineludibile operazione di routine. Malgrado questi inoppugnabili progressi, diffusa è la consapevolezza della necessità di un ripensamento critico di questa area tematica per le insufficienze che gli attuali sistemi diagnostico-nosografici lasciano intravedere. Innanzitutto precaria appare la nozione che i disturbi di Asse II siano entità distinte e inadeguata ne risulta, quindi, la sistematizzazione categoriale rispetto ad approcci dimensionali basati sull'analisi della struttura fenotipica dei normali tratti di personalità. In questo senso depongono i dati relativi all'elevata comorbidità intracluster ed interclusters dei disturbi di personalità (i pazienti con personalità disturbata ricevono in media quattro diagnosi e la diagnosi di disturbo misto di personalità costituisce la regola) e quelli relativi all'esistenza di un continuum fra personalità normale e disturbi di personalità. Ma altri fattori sollecitano una profonda revisione dell'attuale sistematizzazione dei disturbi di personalità: _ scarsa predittività in termini di outcome e di risposta al trattamento delle categorie diagnostiche; _ discordanza tra categorie/criteri diagnostici e dati emersi da analisi statistiche multivariate; _ progressivo allontanamento dalla realtà clinica ad opera delle modifiche criteriali apportate nel tentativo di massimizzare la consistenza interna e di minimizzare la comorbidità dei disturbi di personalità; _ mancanza di un modello teorico della personalità e del suo funzionamento su cui plasmare i criteri diagnostici dei disturbi di personalità; _ indeterminatezza ed eterogeneità delle categorie diagnostiche per lo studio delle loro basi fisiopatologiche; _ mancanza nella tassonomia ufficiale di costrutti diagnostici ritenuti utili nella pratica clinica e che fa del Disturbo di Personalità non Altrimenti Specificato la diagnosi più frequente. Le soluzioni a questi problemi, prospettate dai più autorevoli studiosi dei disturbi di personalità, appaiono estremamente difformi. Alle proposte conservative di alcuni che auspicano il miglioramento dell'esistente (sulla base dei dati empirici) e l'approfondimento conoscitivo di categorie dotate di una certa validità (disturbo antisociale, borderline e schizotipico), si contrappongono quelle radicalmente innovative di altri che sollecitano una riconsiderazione degli assunti della tassonomia dei disturbi di personalità e una riedificazione dalle fondamenta dell'Asse II, sostituendo all'ormai obsoleto approccio categoriale un modello dimensionale che concettualizzi i disturbi di personalità in un continuum con la personalità normale. Al momento, come testimonia la versione revised del DSM-IV, sembra prevalere un atteggiamento conservativo e la riproposizione del modello categoriale, proprio della tradizione medica, che peraltro si propone come il più idoneo alla comunicazione e al clinical decision making e come tale appare destinato, almeno nella clinica, ad essere mantenuto a lungo. Nella ricerca è invece probabile che in tempi relativamente brevi la preferenza sia accordata al modello dimensionale. parolechiave - lingua - vke_key_id Parole chiave: