Prefazione
alberto siracusano
U.O.C. di Psichiatria e Psicologia Clinica, Dipartimento di Medicina dei Sistemi,
Università degli Studi di Roma Tor Vergata



Si può parlare di depressione da molti punti di vista.
Quello della complessità della diagnosi in primis, la depressione nelle sue varie declinazioni cliniche, che prendono forma dall’incontro della malattia con la personalità del paziente, con la sua storia personale e familiare, con la sua vulnerabilità e resilienza al dolore e alla perdita.
Quello epidemiologico, ricordando, con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che nel 2020 la depressione sarà la seconda causa di invalidità per malattia, subito dopo le malattie cardiovascolari, con una stima di prevalenza pari ad un individuo su sei, e con una probabilità di ricaduta compresa in un range tra il 35 e il 65% (Patel et al., 2015). Che la diffusione di questo disturbo interessa entrambi i sessi, con una prevalenza doppia nelle donne rispetto agli uomini, e tutte le fasce di età, con un tasso di prevalenza del 4% sotto i 18 anni.
Quello delle differenze di genere e della trasmissione transgenerazionale della psicopatologia, ricordando, oltre al dato già citato della prevalenza femminile, che la depressione nel periodo del periparto (gravidanza e postpartum) è la complicanza più comune della gravidanza, colpisce circa il 10-15% delle donne nel periparto, con ricadute significative sulla salute della donna, sulla coppia, sul bambino e un aumento del rischio di psicopatologia nella vita adulta.
Quello del trattamento, ricordando che solo un 35% circa di soggetti affetti da depressione assume una terapia farmacologica, che circa il 70% delle depressioni risulta “difficult to treat” o resistente al trattamento, che ancora oggi, nonostante la presenza di svariate molecole, esistano ancora molti “unmet needs” nel trattamento, soprattutto nell’area dei sintomi cognitivi, nei pazienti anziani, nelle donne in gravidanza.
Quello sociale, ricordando la diffusione del fenomeno dello stigma e della frequente, conseguente autostigmatizzazione da parte dei pazienti stessi nei confronti della loro malattia, che conduce all’emarginazione, all’isolamento sociale che ulteriormente aggravano la situazione depressiva. Che i costi sociali della depressione sono elevati, sia in termini di ore lavorative perse, in Italia pari a circa 4 miliardi di euro l’anno, in Europa a 92 miliardi, che come costi diretti del Sistema Sanitario Nazionale, 4062 euro per ciascun paziente depresso.
Dedicare un numero di Noos alla depressione ha voluto significare prendere in esame la complessità e la multiformità con cui la malattia depressiva può esprimersi, ponendo l’accento su alcuni aspetti in questo momento di particolare interesse nella ricerca scientifica e nella pratica clinica.
I diversi contributi pongono infatti l’accento su alcune delle tematiche attualmente più “calde” nel panorama della letteratura internazionale, e che rappresentano altrettanti punti nodali nella gestione della “persona” con depressione, e non solo della malattia depressiva.
Le variabili cliniche, la particolare attenzione ad alcune funzioni psichiche, come quella cognitiva, che a tutt’oggi spesso non rispondono in maniera soddisfacente ai trattamenti farmacologici disponibili e che rappresentano lo zoccolo duro dei sintomi residui su cui si costruisce la recidiva. Lo sforzo della ricerca in campo farmacologico per fornire nuove molecole che impattino su questi e altri bisogni irrisolti del trattamento della depressione, insieme alla sfida di integrare le terapie farmacologiche con quelle riabilitative mirate all’area cognitiva con uno sguardo alla recovery, non solo alla remissione del singolo episodio.
La depressione perinatale, che nel DSM 5 vede riconosciuto un ruolo fondamentale alla depressione in gravidanza e non solo a quella del postpartum, è uno dei maggiori obiettivi di salute pubblica negli ultimi anni, ben sintetizzato dal “No health without perinatal mental health” apparso su Lancet nel 2014.