Prefazione al N° 17
Alberto Siracusano, Gaspare Vella
RIASSUNTO
Secondo il National Comorbidity Survey (1997), una persona su quattro soffre di un disturbo d'ansia inquadrabile in una delle categorie diagnostiche del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-III-R); il gruppo dei disturbi d'ansia è quello più diffuso, infatti presenta la maggiore prevalenza sia lifetime (nell'arco della vita), 28,7 %, sia nel periodo di 12 mesi, 19,3%, mentre il gruppo dei disturbi dell'umore è presente rispettivamente nelle percentuali del 19,3% e 11,3%. I dati sono ancor più significativi se si considera che, tra i disturbi d'ansia, la fobia sociale è la forma più diffusa, 13,3% prevalenza lifetime, e che le fobie semplici o specifiche registrano una prevalenza dell'11,3%; l'ansia nel 90% dei casi è associata ad altre patologie psichiatriche. Per Kaplan e Sadock (1998) le fobie sono la sindrome psichiatrica più frequente nelle donne e la seconda, come prevalenza, negli uomini dopo i disturbi correlati all'uso di sostanze. L'intenzione di dedicare un numero di Nóos alle fobie deriva non solo dalla significatività delle stime epidemiologiche sopra riportate, ma soprattutto dall'interesse suscitato da due problemi, tutt'ora aperti, presenti nella comprensione delle fobie: la scelta dei criteri diagnostici, l'individuazione dei meccanismi patogenetici e conseguentemente del modello teorico impiegato. L'attuale dibattito sull'ansia di separazione rappresenta un buon esempio per illustrare le diverse problematiche teorico-cliniche coinvolte nell'indagine dei disturbi d'ansia in generale e in quello delle fobie in particolare. Infatti, la ricerca scientifica sul disturbo d'ansia di separazione obbliga i diversi approcci biologico, psicologico, relazionale-evolutivo, evolutivo-ambientale, ad uno stretto confronto sui dati provenienti da ciascuna area d'indagine. Sarebbe un errore applicare, per l'interpretazione di questo disturbo, solo i criteri biologici o quelli psicologici o quelli evoluzionistici, in quanto ridurrebbero la significatività di questo disturbo ad un aspetto parziale che non può dar ragione dei diversi elementi implicati nella sua eziopatogenesi. Oggi, diverse evidenze cliniche riconoscono che, nel meccanismo eziopatogenetico del disturbo d'ansia di separazione, giocano un ruolo fondamentale sia la relazione d'attaccamento del bambino con il genitore che la presenza o assenza di fattori ambientali (fattori di rischio e protettivi), sia le capacità individuali del soggetto che le caratteristiche dello stimolo a cui è sottoposto, sia il tipo di substrato biochimico e anatomico, attivato dall'esperienza di separazione, che la fase del ciclo vitale che il soggetto attraversa e in cui quest'esperienza si verifica. Deriva, da questa impostazione, un modello della patologia mentale in cui si devono integrare reciprocamente diversi approcci di ricerca, per poter raggiungere una visione più completa e, conseguentemente, un trattamento più efficace dei disturbi psichici. I diversi lavori, pubblicati in questo fascicolo, affrontano il tema delle fobie proponendo dati di ricerca e/o osservazioni critiche che, ovviamente, non risolvono problematiche ancora aperte, ma, indubbiamente, ne arricchiscono la comprensione.
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